1) L’impresa nell’ordinamento giuridico.

1.1) Definizione e principi

Il legislatore non ha previsto nel Codice Civile del 1942 una definizione specifica di impresa.

Essa è, tuttavia, desumibile da quella di imprenditore, contenuta nell’art. 2082 cod. civ. e ai sensi del quale: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“.

L’impresa è dunque l’attività economica esercitata dall’imprenditore.

In particolare, si tenga ben presente che:

  1. l’esercizio dell’impresa deve avere carattere professionale dal momento che non costituisce impresa  l’esercizio occasionale dell’attività;
  2. l’attività deve essere economica, cioè finalizzata al lucro in quanto le attività c.d. no profit non sono imprese propriamente dette (si pensi per esemplificare ai partiti politici o agli enti benefici);
  3. l‘organizzazione riveste, anche essa, un ruolo fondamentale non potendo mancare un minimo di organizzazione del lavoro, del capitale, delle risorse, etc.. E’, infatti, la mancanza di questa caratteristica che porta nella dottrina giuridica a non riconoscere la qualifica di impresa a professionisti che svolgono un lavoro intellettuale (tra i liberi professionisti si pensi agli avvocati, ai dottori commercialisti oppure ai medici);
  4. lo scopo è quello della produzione (impresa industriale) e/o dello scambio (impresa commerciale) di beni e/o servizi finalizzati alla realizzazione del profitto.

Diversa dall’impresa è l’azienda che, giuridicamente, è disciplinate all’art. 2555 c.c. come “…il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Dal punto di vista giuridico, allora, i due aspetti di attività (impresa) e complesso di beni o patrimonio (azienda) sono ben contraddistinti ed autonomi, pur costituendo di fatto la stessa entità economica.

Ancora: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori” è ciò che statuisce il legislatore all’art. 2086 del codice civile.

In virtù di ciò ha un potere di iniziativa (cioè il potere di determinar l’organizzazione e l’indirizzo dell’impresa), cui corrisponde l’assunzione del rischio imprenditoriale (cioè il rischio finanche di veder vanificato  il capitale investito qualora l’attività andasse male).

Norme specifiche disciplinano poi la capacità, la responsabilità dell’impresa e l’acquisto della qualifica di imprenditore.

Per ciò che attiene, in primis, alla capacità di esercizio dell’impresa da parte dell’imprenditore, essa spetta a chi possiede la c.d. capacità di agire.

Gli incapaci, tuttavia, hanno la possibilità di continuare l’esercizio di un’impresa già esistente (per esempio ereditata o ricevuta mediante legato o in genere in seguito a un atto di liberalità quale la donazione), su espressa autorizzazione rilasciata dal tribunale su parere del giudice tutelare, venendo esclusi solo dalla possibilità di iniziarne una ex novo. In siffatta ipotesi si viene a verificare una sorta di scissione tra titolarità formale e titolarità sostanziale (chi cioè effettivamente dirige l’impresa in rappresenza dell’incapace). Il codice civile, agli artt. 320, co. 5, 371, co. 1, 397 e 424 cod.civ., prescrive che sono incapaci i seguenti soggetti:

I) il minore non emancipato, che può esercitare l’impresa solo attraverso il legale rappresentante (genitore che ne eserciti la potestà);

II) l’Interdetto, il quale potrà esercitarla ove già in essere ed esclusivamente mediante il tutore legale;

III) l’inabilitato che può esercitare da solo l’impresa – se autorizzato dal giudice – relativamente agli atti di ordinaria amministrazione, dovendosi invece far assistere dal curatore per quelli di straordinaria amministrazione.

I soggetti di cui supra sopra sono i c.d. incapaci assoluti.

Ebbene, esiste inoltre una figura di incapace relativo che è il minore emancipato (cioè il minore di età che però ha compiuto già i 16 anni di età ed ha contratto regolare matrimonio). Tale soggetto può essere autorizzato dal tribunale, oltre che alla alla prosecuzione dell’impresa già esistente, anche alla costituzione di una nuova senza l’assistenza del curatore, ai sensi dell’art. 397 del codice civile.

1.2) La responsabilità dell’imprenditore

Premesso che l’art. 2088 del cod. civ. configura una generica responsabilità dell’imprenditore verso lo Stato per l’indirizzo della produzione e degli scambi, decisamente più rilevante da un punto di vista pratico è la responsabilità dell’imprenditore-produttore per danno da prodotti difettosi prevista dalla direttiva comunitaria n. 85/374, recepita nell’ordinamento giuridico italiano mediante il D.P.R. n. 224/1988.

In base al principio affermato dalla norma quadro europea, il produttore risponde dei danni recati a persone o cose e causati dal difetto del prodotto da lui fabbricato e immesso in circolazione. Lapalissiano è che – con tale normativa – si è riconosciuta una sorta di responsabilità oggettiva, in quanto è stato posto a carico del danneggiato l’onore di provare il danno, il difetto e il nesso causale tra difetto e danno.

1.3) Il momento d’acquisto della qualifica di imprenditore

Quando si acquista la qualifica di imprenditore? Sicuramente con l’inizio dell’esercizio dell’attività economica di impresa.

All’uopo possiamo suddividere le imprese in individuali e società. Per queste ultime – dal momento che quelle di capitali sono persone giuridiche – nulla quaestio che l’acquisto della qualità venga a coincidere con il momento della costituzione, quindi con l’iscrizione nel c.d. registro delle imprese, detenuto presso le camere di commercio. Difatti, le società vengono costituite proprio per l’esercizio dell’attività economica, per cui i due momenti di costituzione/iscrizione e di acquisto della qualità di imprenditore vengono a coincidere.

1.4) Classificazione delle imprese

Possiamo sicuramente distinguere nel diritto commerciale – che è quella branca o ramo del diritto che si occupa dei contratti e delle società – diverse tipologie di impresa.

A seconda del numero di soggetti che le esercitano, infatti, distinguiamo:

  • Imprese individuali o ditte, che sono imprese di limitate dimensioni in cui troviamo un unico titolare persona fisica;
  • Imprese collettive o società, che, invece, sono quelle in cui l’esercizio d’impresa è svolto collettivamente ad opera di due o, spesso, più soci. Inoltre, possono essere persone giuridiche nel caso di società di capitali.

In riferimento alla natura dell’attività svolta, invece, distinguiamo:

  • Imprese agricole (art. 2135 c.c.), che sono quelle che hanno per oggetto la coltivazione diretta del fondo, la silvicoltura, l’allevamento del bestiame agricolo e le attività ad esse connesse;
  • Imprese commerciali, che sono quelle indicate all’art. 2195.

Per ciò che attiene alle dimensioni abbiamo:

  • Imprese non piccole (cioè grandi e medie), che sono imprese alle quali si applica la tipica disciplina giuridica dell’impresa;
  • Imprese piccole, che sono imprese cui si applica la particola disciplina di favore del piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.).

A seconda della natura possiamo invece distinguere:

a) Imprese private, che sono quelle in cui la figura dell’imprenditore è privata; b) Imprese pubbliche, che sono quelle in cui la figura l’imprenditore è un ente pubblico; in siffatta circostanza lo scopo molto spesso non è il profitto – o per lo meglio non è solo il profitto – ma il soddisfacimento di un interesse pubblico o il contemperamento del profitto con una o più finalità di pubblico interesse, in modo tale da non far prevalere la mera efficienza sull’equitas e poter solidaristicamente vedere l’uomo sempre come fine e mai come mezzo.  

1.5) L’impresa familiare

Un discorso separato merita l’impresa familiare, definita dal legislatore come quella forma di impresa in cui lavorano i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Sono ricomprese nelle imprese individuali, c’è un capo famiglia e a fine anno l’imprenditore-capofamiglia riconosce ai familiari collaboratori la partecipazione agli utili, la liquidazione in caso di cessazione della collaborazione, il mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, la partecipazione agli incrementi dell’azienda in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro apportato all’impresa.